Si fa presto a derubricare “gli” Strauss e il loro valzer viennese ad un disegno strategico familiare basato su forme musicali semplici (se non superficiali), volte a celebrare un impero prossimo alla fine. In questa supposizione qualcosa però non torna, poiché l’operazione ebbe effetti duraturi e inaspettati, tant’è vero che ancora oggi questi repertori tornano periodicamente in primo piano come indispensabile colonna sonora del profano rituale di passaggio verso l’anno nuovo. Ma perché questo accade?
La “colpa”, probabilmente, è in gran parte legata ai valori assoluti che caratterizzano questi repertori musicali. Nel valzer viennese, codificato prima da Johann padre e poi reso vero esempio di stile da Johann figlio, sono presenti, infatti, elementi estetici di grande spessore ed originalità, non per niente riconosciuti dai più importanti colleghi compositori contemporanei degli Strauss. Le felici invenzioni melodiche e le scelte armoniche malinconiche, volte a simboleggiare allo stesso tempo gloria e declino della civiltà ottocentesca, hanno avuto una tale significanza da riuscire paradossalmente a bypassare la modernità, rinnovando nell’oggi un proprio ruolo, nostalgico e archetipico. Basti pensare al rito del “battimani” a tempo sulla Radetzky Marsch, che si ripropone immancabile ogni anno durante il Concerto di Capodanno del Musikverein viennese.
Sorprende invece, ma non troppo, che nelle vicende biografiche degli Strauss ci sia di tutto fuorché la linearità di percorso che ci potremmo aspettare. Johann padre divenne musicista contravvenendo alle indicazioni del patrigno e lui fece la stessa cosa nei confronti del figlio, ostacolandone in tutti i modi la carriera. Strauss padre e figlio non avrebbero poi potuto essere più diversi: conservatore il primo (non a caso fu lui a comporre la Radetzky Marsch), rivoluzionario invece il secondo. Secondo Strauss padre, il figlio avrebbe dovuto diventare bancario, e se l’impero austriaco poté contare su una delle più importanti star dell’800, questo si deve alla moglie ripudiata di Johann padre, che sostenne gli studi musicali del figlio. E che dire dei fratelli di Johann figlio che, poi, prima si affiancarono e poi si contrapposero nell’attività di famiglia? L’”ingegnere” Josef, accorso in aiuto di Johann, esaurito dal troppo successo, finì per morire lui giovane, suscitando le ire rivolte al primogenito da parte terzo fratello Eduard, anche lui originariamente avviato a tutt’altro mestiere.
Una famiglia, dunque, che ha saputo contravvenire ai propri ruoli di generazione in generazione, contribuendo così ad un genere musicale che continua a vincere la sfida del tempo, affermandosi come vera e propria irrinunciabile tradizione. In definitiva non ci resta che lasciarci cullare da “An der schönen blauen Donau, Op. 314” e apprezzare il suono orchestrale raffinato che Johann Strauss diede in eredità ai posteri, passando a miglior vita guarda caso proprio a pochi mesi dal capodanno che diede il via al “secolo breve”.